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I punti di partenza sono importanti: Perché è il caso di dare un'occhiata più approfondita alle azioni globali

Perché considerare un'allocazione a società statunitensi e non statunitensi? Riteniamo che il punto di partenza odierno dei mercati sia molto diverso rispetto all'ultimo decennio.  Inoltre, con l'aumento dei tassi, l'incremento dell'inflazione e la riduzione della liquidità, gli investitori che ricercano le migliori società nei mercati globali possono contribuire a massimizzare i rendimenti del proprio portafoglio.

Considerazioni principali

  • All'indomani della crisi finanziaria globale, i tassi e l'inflazione erano bassi e in calo e la liquidità era elevata. Oggi i tassi e l'inflazione sono decisamente più elevati e la liquidità va prosciugandosi. I punti di partenza sono importanti.
  • Di norma, per massimizzare i rendimenti per gli investitori e fornire al contempo vantaggi da diversificazione, può essere opportuno investire nelle migliori società — quelle dotate di pricing power e margini stabili — negli Stati Uniti e altrove, piuttosto che puntare semplicemente su un fattore, ad esempio una regione o uno stile.
  • Molte aziende precedentemente messe in ombra dalle mega cap tecnologiche appaiono ora ben posizionate per beneficiare di trend futuri, come l'aumento della spesa per investimenti (e non delle sole spese operative), la transizione energetica e la decarbonizzazione, nonché il rimpatrio (reshoring) e la localizzazione delle filiere produttive.

L'esperienza mi dice che sono poche le regole di mercato che superano la prova del tempo. L'importanza dei punti di partenza è una di queste, e oggi è particolarmente rilevante. Credo che siamo tutti d'accordo nel ritenere che l'esperienza di chi comincia a investire oggi in un orizzonte temporale di dieci anni sarà molto diversa da quella di chi ha investito negli ultimi dieci anni. Il livello di tassi d'interesse e dell'inflazione, la probabilità di ulteriori iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali, le valutazioni azionarie e i margini di profitto sono tutti fattori che appaiono oggi molto diversi rispetto all'inizio del mercato rialzista inauguratosi alla fine della crisi finanziaria globale. 

Il contesto attuale come punto di partenza

Concentriamoci innanzitutto su inflazione, tassi d'interesse e liquidità fornita dalle banche centrali. Oggi le banche centrali di tutto il mondo hanno aumentato aggressivamente i tassi d'interesse per combattere la fiammata dell'inflazione all'indomani degli stimoli senza precedenti introdotti durante l'uscita dalla pandemia, che si aggiungono alle imponenti misure di stimolo varate dopo la crisi finanziaria globale. In futuro, le banche centrali non solo saranno restie a fare ricorso ai propri strumenti tradizionali ma anche impossibilitate a farlo dati i livelli elevati dei loro bilanci.

In altre parole, la politica accomodante dell'ultimo decennio potrebbe rimanere un ricordo del passato. Gli investitori non possono più fare affidamento sul ruolo svolto dal denaro gratuito nello spingere al rialzo le valutazioni azionarie o favorire la crescita degli utili tramite buyback o altre forme di ingegneria finanziaria. Ciò è evidente soprattutto negli Stati Uniti, dove le valutazioni sono ancora ben al disopra delle medie di lungo termine (Figura 2) e i margini restano elevati malgrado la prospettiva di un aumento dei costi del lavoro e dei materiali e di un rallentamento della crescita globale (Figura 3).

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È comprensibile che in questo contesto molti investitori si trovino in difficoltà nell'operare scelte di asset allocation nel tentativo di individuare i futuri leader di mercato. Ciò porta di norma gli investitori a estrapolare il passato recente per applicarlo al presente, aspettandosi gli stessi risultati (ad esempio una forte sovraperformance degli Stati Uniti). Purtroppo, questa fissazione sul breve termine fa sì che la maggior parte degli investitori sia sempre due passi indietro rispetto al mercato e abbia poche probabilità di accorciare le distanze. Questo contesto (inflazione elevata e inversione della politica monetaria abbinate a valutazioni e margini elevati) non solo crea enormi difficoltà agli investitori alle prese con decisioni di asset allocation, ma ricorda anche l'ultima volta in cui le azioni non statunitensi hanno registrato un periodo protratto di sovraperformance rispetto alle omologhe americane. E, a nostro avviso, ha gettato le basi per un quadro caratterizzato da rendimenti azionari potenzialmente inferiori in futuro. Come dicevamo prima, i punti di partenza sono importanti. 

Lo scenario odierno è simile a quello verificatosi dopo l'era delle dot-com.

Dalla fine dell'era delle dot-com fino agli esordi della crisi finanziaria globale, i titoli non statunitensi hanno nettamente sovraperformato le loro controparti statunitensi. L'indice MSCI ACWI ex US ha reso il 69,6% in termini cumulativi a fronte del 14,1% appena dell'S&P 500 dall'inizio del 2000 al 2007. E benché non esistano due periodi perfettamente identici, il contesto odierno è simile al periodo di circa otto anni che è seguito allo scoppio della bolla delle dot-com. Un primo aspetto da considerare è che le valutazioni dei titoli non statunitensi offrono potenzialmente agli investitori un'opportunità d'acquisto che non si vedeva da decenni (Figura 4), poiché presentano uno sconto di quasi due deviazioni standard rispetto alle azioni statunitensi.

In secondo luogo, a metà anni 2000 l'inflazione e i tassi d'interesse erano più allineati alla realtà odierna rispetto al decennio successivo alla crisi finanziaria globale e fino allo scoppio della pandemia di COVID. In effetti, dal 2000 alla fine del 2007, il rendimento dei Treasury USA decennali e l'inflazione globale si sono attestati in media, rispettivamente, al 4,7% e 3,7% (Figura 5). Ciò è totalmente diverso dal periodo successivo alla crisi finanziaria globale, quando l'inflazione era sostanzialmente inesistente e i rendimenti erano prossimi allo zero o addirittura in territorio negativo in tutto il mondo. 

In quel periodo i mercati hanno assistito inoltre a un drammatico crollo in seguito allo scoppio della bolla delle dot-com, guidata in gran parte dai titoli tecnologici di maggior successo dell'epoca, riguardo ai quali gli investitori nutrivano aspettative di crescita irrealistiche (si pensi all'esuberanza irrazionale). Le analogie balzano all'occhio anche osservando l'attuale concentrazione del Russell 1000® Growth Index (Figura 6).

Un elemento di rilievo è il fatto che all'indomani della bolla delle dot-com, quando i differenziali dei tassi d'interesse favorivano i mercati non statunitensi e gli investitori azionari ricercavano opportunità al di fuori degli Stati Uniti, il dollaro USA è arretrato del 40% dal picco di mercato fino alla fine del 2007. Dal punto di vista degli investitori statunitensi, questo deprezzamento si è aggiunto ai rendimenti in valuta locale delle azioni non statunitensi convertiti in dollari. Oggi il dollaro USA rimane forte in termini storici ma si è deprezzato dell'11% negli ultimi nove mesi, poiché la fine degli interventi restrittivi della Fed sembra essere all'orizzonte (Figura 7).

Infine, il contesto dei rendimenti è un altro elemento di confronto fondamentale tra il periodo successivo alla bolla delle dot-com e le aspettative per i prossimi dieci anni. All'epoca, anche se i titoli non statunitensi avevano sovraperformato quelli statunitensi, i rendimenti sono stati generalmente modesti: su base annualizzata, l'indice MSCI ACWI ex US ha reso il 6,8% a fronte dell'1,7% dell'S&P 500 dal 2000 al 2007.

Mettere a segno performance in un contesto di rendimenti potenzialmente inferiori

In un contesto di rendimenti più bassi, l'importanza del beta diminuisce e quella dell'alpha aumenta. In presenza di condizioni di questo tipo, riuscire a individuare le aziende in grado di supportare le loro quotazioni azionarie attraverso la crescita degli utili, le valutazioni e i dividendi, significa poter offrire agli investitori l'opportunità di massimizzare potenzialmente i rendimenti a lungo termine. 

Dopo oltre un decennio di sottoperformance dei titoli internazionali sorge spontanea la domanda: "perché investire nell'azionario internazionale?" Forse, prendendo i livelli odierni come punto di partenza delle azioni statunitensi, gli investitori dovrebbero invece chiedersi: "dove possiamo trovare le migliori società le cui azioni si apprezzeranno, favorite dalla crescita degli utili, dalle valutazioni e dai dividendi?" Considerando il contesto odierno, queste aziende sono probabilmente situate in tutto il mondo e puntare su un singolo fattore regionale potrebbe essere controproducente. Un approccio più logico è cercare società di qualità ubicate in tutto il mondo, vale a dire assumere esposizioni sia ai titoli statunitensi che alle azioni non statunitensi. Storicamente, come mostra la Figura 8, gran parte dei titoli che hanno messo a segno le migliori performance su scala globale appartiene in realtà a società non quotate negli Stati Uniti. 

Minore affidamento sull'espansione dei multipli

Nell'ultimo decennio le azioni di società statunitensi hanno fatto meglio delle omologhe non statunitensi con riferimento a due fattori che svolgono un ruolo determinante ai fini dell'apprezzamento delle quotazioni: utili e valutazioni. Tuttavia, come si ricordava prima, interpretare il presente sulla base del passato recente è spesso insensato. È preferibile riflettere invece sul potenziale andamento di valutazioni e utili nel prossimo decennio. Cominciamo dalle valutazioni. Le banche centrali hanno smesso di offrire denaro gratuito e se i tassi d'interesse rimarranno elevati ciò spingerà probabilmente i multipli azionari in prossimità delle medie di lungo periodo. In questo contesto, ci si aspetterebbe che l'espansione dei multipli produca un apprezzamento delle quotazioni minimo o nullo. Laddove i multipli rimangono elevati rispetto alle medie di lungo periodo, come ad esempio nel caso dei titoli statunitensi e, più segnatamente, delle azioni growth statunitensi, una correzione dei multipli è non solo possibile ma anche probabile. Pertanto, eventuali futuri aumenti delle quotazioni dovranno provenire dalla crescita e dai dividendi. 

Maggiore affidamento su utili e dividendi

Sul fronte degli utili, lo scorso decennio ha favorito in maniera sproporzionata le azioni statunitensi. È stata una tempesta perfetta fatta di liquidità abbondante, bassa inflazione e bassi tassi d'interesse che ha incontrato un'asset class diventata una proxy dei titoli growth. La pandemia globale ha dato ulteriore impulso ai ricavi e agli utili delle società tecnologiche, che sono situate prevalentemente negli Stati Uniti. Il contesto è tuttavia molto mutato e i trend futuri potrebbero favorire una gamma più ampia di settori e segmenti di mercato. Se a ciò si aggiunge la possibilità di un contesto caratterizzato da rendimenti ridotti, gli investitori farebbero bene a concentrarsi sul pricing power e sulla stabilità dei margini tipici delle società di qualità, indipendentemente dalla loro sede. Per questa ragione, l'alpha delle singole società diventa più importante del beta fattoriale. Inoltre, i dividendi saranno una componente maggiore dell'apprezzamento delle quotazioni in un contesto di bassi rendimenti, e i titoli non statunitensi hanno storicamente pagato dividendi più elevati. 

I trend futuri dovrebbero favorire una gamma più ampia di società 

In prospettiva, sebbene la tecnologia e l'intelligenza artificiale svolgeranno un ruolo importante nelle nostre vite, crediamo che i trend futuri favoriranno un più vasto ventaglio di settori e comparti piuttosto che le sole aziende tecnologiche affermatesi nello scorso decennio. Molte delle società che operano in questi altri settori sono domiciliate al di fuori degli Stati Uniti. I trend futuri potrebbero includere l'aumento della spesa per investimenti, la transizione energetica e la decarbonizzazione, nonché il reshoring e la localizzazione delle filiere produttive, per citarne solo alcuni.

Investimenti in immobilizzazioni tradizionali 

Negli ultimi 10-12 anni la spesa per investimenti, in percentuale del fatturato, è diminuita significativamente, e, dati i bassi livelli di spesa per investimenti, i beni durevoli sono oggi in media più vecchi di cinque anni rispetto a quelli degli anni '70 e '80, il che sottolinea il fabbisogno di spesa (Figura 9). All'indomani della crisi finanziaria globale le aziende hanno avuto accesso "gratuito" al capitale grazie al quantitative easing delle banche centrali. Di conseguenza, le imprese hanno potuto scegliere tra due opzioni: reinvestire nel proprio business o finanziare operazioni di ingegneria finanziaria come le operazioni di buyback. Dati i bassi livelli di crescita e di inflazione, reinvestire non rappresentava un'opzione appetibile. Le società che hanno deciso di spendere il capitale hanno preferito investire in tecnologia (spese operative) piuttosto che in ambiti più tradizionali, il che si è tradotto nel succitato invecchiamento delle immobilizzazioni private. Il problema della mancata spesa per investimenti e in infrastrutture comincia ad essere affrontato, e ciò dovrebbe avvantaggiare una serie di settori e comparti al di fuori della tecnologia che sono stati trascurati nel decennio precedente.

Decarbonizzazione e obiettivi di azzeramento delle emissioni nette

Sempre più aziende, comunità e nazioni in tutto il mondo stanno passando a un'economia in cui vengono azzerate le emissioni nette, come richiesto dall'Accordo di Parigi. Per raggiungere l'obiettivo di un'economia globale a emissioni zero entro il 2050, stando ad alcune stime la spesa annua per beni fisici dovrebbe aumentare di USD 3.500 miliardi (Figura 10).1 Per comprendere meglio l'entità di tale aumento, si pensi che tale importo corrisponde a metà degli utili aziendali e a un quarto degli introiti fiscali globali del 2020.1 La spesa per la decarbonizzazione potrebbe non raggiungere tale livello, ma la spesa trainata dalla crescita dei redditi e della popolazione e dal varo di politiche di decarbonizzazione potrebbe avere un impatto pari a un aumento annuo di USD 1000 miliardi. 

Per azzerare le emissioni nette, le somme spese per ridurre il rischio climatico nel prossimo decennio rivestono un'importanza cruciale. Tuttavia, tale spesa sarà probabilmente eterogenea in termini di paesi e settori, il che rende ancora più necessario acquisire esposizioni al di fuori degli Stati Uniti. La transizione comporta dei rischi, tra cui quello di volatilità dell'approvvigionamento energetico, ma la decarbonizzazione offre anche opportunità ai gestori attivi creando mercati per prodotti e servizi a basse emissioni e dando impulso alla spesa infrastrutturale negli ambiti di energia, acqua e trasporti. Una domanda cruciale riguarda il finanziamento della spesa. La ricerca a livello settoriale indica che un terzo della spesa per investimenti aggiuntiva finalizzata alla decarbonizzazione sarà imputabile a società quotate in borsa, sulla base dei loro bilanci e del loro potenziale di reinvestimento non utilizzato.1 Inoltre il mercato probabilmente premierà le società che investono nella decarbonizzazione o che sono esposte agli investimenti dei clienti in questo ambito, soprattutto in settori in cui è necessario investire in attività ecosostenibili per ridurre le strozzature nelle catene produttive e i rischi di esecuzione.

Spesa per localizzare la produzione

La pandemia e la guerra in Ucraina, accanto ad altre considerazioni di natura geopolitica, hanno messo in evidenza i rischi insiti nei sistemi di gestione delle scorte just-in-time e delle catene produttive globali. Benché ci vorrà del tempo prima che la localizzazione sortisca i propri effetti, molte aziende stanno cominciando a riorganizzare le catene produttive e a migliorarne l'affidabilità e la resilienza. Si tratta inoltre di un trend meno legato alla contrapposizione tra Stati Uniti e altri paesi, quanto piuttosto relativo a specifiche società in tutto il mondo. Crediamo che le società vincenti nel lungo termine saranno quelle in grado di rendere possibile il cambiamento e fornire soluzioni durante la transizione, a prescindere dalla loro ubicazione.

Conclusioni

Oggi il punto di partenza dei mercati è molto diverso da quello di dieci anni fa. È probabilmente finita l'era dominata dal beta in cui gli investitori dovevano solo scegliere lo stile, la regione, il paese o il fattore giusto. Oggi i tassi e l'inflazione sono elevati rispetto allo scorso decennio, le valutazioni statunitensi restano storicamente alte e in alcuni mercati i margini sono tuttora ampi. Siamo dell'avviso che in questo contesto conti l'alpha, non il beta. Investire nelle migliori società a livello globale invece di affidarsi alla mentalità dell'ultimo decennio può aiutare a massimizzare i rendimenti, offrendo al contempo i benefici della diversificazione.


Note

1 Goldman Sachs Global Equity Strategy, 2022 Outlook: Getting Real, Goldman Sachs Global Investment Research. 


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