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Un nuovo paradigma

Man mano che ci allontaniamo da un mondo fatto di tassi d'interesse artificialmente soppressi e produzione a basso costo, gli investitori dovranno valutare attentamente il modo in cui le aziende sono posizionate per attraversare il nuovo paradigma caratterizzato da costi più elevati.

Author

Robert M. Almedia, Jr.
Portfolio Manager e Global Investment Strategist

In breve

  • La redditività del capitale detta le valutazioni azionarie.
  • I due venti di coda che finora hanno sostenuto la redditività del capitale si sono trasformati in venti contrari.
  • La discrezione è d’obbligo.

È la redditività (del capitale) a contare

Il valore di mercato delle azioni, siano esse quotate o private, non è che una serie di assunti sulla futura redditività del capitale. Quando le previsioni sugli utili cambiano, i valori di mercato si adeguano di conseguenza. L’adeguamento può essere rapido nei mercati quotati e lento in quelli privati, ma è inevitabile.

Ripensando al periodo di forte accumulo di ricchezza di cui hanno goduto gli investitori dalla fine della crisi finanziaria globale, a fare da volano è stata la notevole crescita degli utili netti aziendali, indipendentemente dall’area geografica o dallo stile. Sebbene alcune aziende abbiano fortemente surclassato altre, come le società growth statunitensi a grande capitalizzazione, la redditività del capitale e i corsi azionari sono stati relativamente elevati e hanno subito interruzioni minime.

Tralasciando i trimestri dominati dagli stimoli antipandemici, l’eccesso di risparmio globale e la flessione degli investimenti fissi hanno contribuito a instaurare anni di stagnazione economica che hanno pesato sui ricavi aziendali. Eppure, molte aziende in tutto il mondo sono comunque riuscite a generare tassi di redditività ragguardevoli, grazie anche alla diminuzione del costo del capitale e dei costi operativi.

E questo è quanto per spiegare come abbiamo fatto ad arrivare fin qui, ma ciò che conta ora è dove stiamo andando. A partire dal 2022, sia il costo del capitale che i costi operativi sono aumentati. Di seguito spieghiamo perché non ci aspettiamo che tornino sui minimi precedenti e quali potrebbero essere le implicazioni di ciò sugli asset rischiosi. 

Due fattori importanti e interconnessi

La Bank of England ha compiuto un’impresa straordinaria: ha stilato la storia dei tassi d’interesse negli ultimi 5.000 anni. Dal grafico che la illustra apprendiamo che l’anno 2021 ha segnato il minimo storico per i tassi. Per contestualizzare questo dato per chi, come me, è nato prima dell’inizio degli anni Ottanta, abbiamo vissuto in un periodo in cui i tassi d’interesse hanno toccato sia i massimi che i minimi nell’arco di 5.000 anni.

Tre anni dopo, e nonostante condizioni tese sul mercato del lavoro e 250 mila nuovi posti di lavoro creati ogni mese, gli operatori di mercato continuano a scontare un allentamento della politica monetaria globale. Sebbene non sia un’eventualità da escludere, e non sto suggerendo il contrario, la riflessione più importante è cosa accadrà alle curve dei rendimenti e ai tassi a lungo termine.

Benché sia probabile che i tassi overnight e a breve scendano di qui a poco, troppi investitori sembrano contare su un crollo dei tassi a lungo termine e su un ritorno del capitale a basso costo. A mio avviso, è più probabile che un’eventuale riduzione dei tassi a breve si traduca in curve dei rendimenti con una maggiore pendenza positiva che non in bruschi cali del costo dei finanziamenti a lungo termine. Cosa ancora più importante, ritengo che i costi di finanziamento, sia per i consumatori che per le imprese o gli enti governativi, difficilmente torneranno sui minimi storici, perché la domanda aggregata è troppo elevata, la manodopera troppo scarsa e il fabbisogno di investimenti in conto capitale troppo forte.

Una domanda che sento spesso rivolgermi quando condivido questo mio punto di vista è: “In caso di tensioni sul mercato, ai politici non verrà voglia di manipolare le curve dei rendimenti?” Certamente. Tuttavia, voler fare qualcosa è un conto, poterla fare è un altro, ed è stato molto più facile manipolare le curve dei rendimenti in presenza di risparmi elevati, spesa bassa, manodopera abbondante (e quindi dotata di scarso potere contrattuale) e crescita e inflazione deboli.

Cosa è cambiato?

Oggi, invece, i risparmi delle famiglie vengono spesi in cibo, costi abitativi ed energia, e le aziende stanno spendendo per accorciare le filiere produttive (un punto su cui tornerò più avanti) in un momento in cui la manodopera è costosa e scarseggia. Tutta questa spesa alimenta la crescita e l’inflazione. Inoltre, oggi l’inflazione non solo è più elevata ma anche più volatile rispetto al paradigma fatto di crescita lenta e bassa inflazione, mentre i deficit di bilancio sono molto più ampi rispetto alla storia recente. Questo ha fatto sì che i vincoli delle politiche pubbliche venissero dettati dal mercato obbligazionario, come abbiamo visto nel Regno Unito durante la crisi legata agli investimenti liability-driven (LDI) di 18 mesi fa. È un aspetto importante per gli asset rischiosi, perché l’hurdle rate, ossia il tasso di rendimento minimo per generare un utile netto positivo, è diventato molto più alto.

La globalizzazione è un altro fattore chiave. La globalizzazione e la produzione “just-in-time” sono stati due fortissimi catalizzatori della crescita degli utili, perché lo stoccaggio delle merci è costoso. Avere meno scorte in magazzino significa avere più capitale circolante e maggiori efficienze operative e di utile. La produzione a basso costo, soprattutto in Asia, ha consentito a molti conglomerati occidentali di ridurre le spese legate al lavoro. L’esternalizzazione della produzione ha fatto sì che le multinazionali potessero diminuire le immobilizzazioni tangibili. A parità di altre condizioni, quando l’intensità di capitale diminuisce i profitti aumentano. Ma consentendo alle aziende dei mercati sviluppati di diventare “asset-light”, la globalizzazione ha anche inaugurato un decennio di stagnazione economica negli anni 2010. Pertanto, la globalizzazione non è priva di rischi, molti dei quali sono venuti a galla durante la pandemia, la guerra in corso tra Russia e Ucraina e i conflitti in Medio Oriente.

Il volto mutevole della globalizzazione

La conditio sine qua non della produzione “just-in-time” e della globalizzazione è stata la pace globale. Le navi sono diventate più grandi e hanno potuto ospitare più container perché gli oceani sono stati messi al sicuro dalle alleanze forgiate nel secondo dopoguerra. Le aziende dovevano avere la certezza che le merci sarebbero arrivate in tempo, e così è stato. Con l’aumento di tale certezza e l’accumulo dei vantaggi offerti dalle economie di scala, la percentuale di merci scambiate via mare in tutto il mondo è più che raddoppiata. Allo stesso tempo, i costi delle spedizioni marittime si sono sgonfiati e i profitti sono saliti vertiginosamente.

Le spedizioni via mare sono ancora economiche, ma i loro costi sono in aumento. Cosa ancor più preoccupante, una pandemia globale, due guerre calde e una guerra fredda hanno affievolito la certezza che un componente critico sarebbe arrivato “giusto in tempo”. Nel frattempo, l’arbitraggio del lavoro con l’Asia è finito perché la produzione in Asia non è più a basso costo e assumere personale è difficile quasi ovunque.

La globalizzazione non è finita e nemmeno la produzione “just-in-time”. Ma a mio avviso le filiere produttive diventeranno meno dilatate, costeranno di più o entrambe le cose.

È giunto il momento di essere selettivi

Le società, così come le economie e i mercati finanziari, sono cicliche. Nel corso della storia, i tempi duri hanno generato persone forti. Queste persone forti affrontano le avversità e creano tempi buoni. I tempi buoni creano persone deboli. Queste persone deboli finiscono col generare tempi duri, e il ciclo si chiude.

A mio avviso, la risposta politica alla crisi finanziaria globale e alla pandemia ha creato intenzionalmente un ambiente operativo facile per le aziende, che ha prodotto rendimenti elevati per i proprietari del capitale. La vita, gli affari e gli investimenti non sono facili. Eppure, di recente investire è diventato facile per mano dell’imponente risposta delle autorità.

Conclusioni

  • Crediamo che negli ultimi anni il motore principale della redditività del capitale sia stata la flessione dei costi, non la crescita.
  • I costi hanno smesso di diminuire. Tendono al rialzo e la crescita non tiene il passo.
  • I premi al rischio, sia nei mercati azionari che in quelli delle obbligazioni societarie, sono relativamente bassi e lasciano poco spazio agli errori.

I rendimenti dei portafogli diventeranno probabilmente più esposti ai fondamentali aziendali man mano che si dispiegheranno le dinamiche di cui sopra. Riteniamo che i titoli delle società in grado di affrontare con successo il nuovo paradigma dei costi più elevati dovrebbero sovraperformare di larga misura i titoli delle aziende che non sono pronte.

Man mano che il ciclo sociale, economico e di mercato giunge alla sua conclusione, l’ambiente operativo per le aziende, attualmente facile, cambierà. Le avversità aumenteranno, ma questa volta è improbabile che il nuovo paradigma consenta ai decisori politici di attutire il colpo. Ed ecco perché ritengo che nel decidere quali investimenti detenere nei propri portafogli, la discrezione sia d’obbligo. 

 

 

Le opinioni espresse sono quelle del o degli autori e sono soggette a modifi ca in qualsiasi momento. Tali opinioni sono fornite a mero scopo informativo e non devono essere considerate una raccomandazione sulla quale basare l'acquisto di titoli né una sollecitazione o una consulenza d'investimento. Non vi è alcuna garanzia che le previsioni si avverino.

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